Apollo e Dafne immortalati dall’ineguagliabile scalpello del Bernini
Aveva solo 24 anni Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 7 dicembre 1598 – Roma, 28 novembre 1680) quando scolpì Apollo e Dafne. Gliel’aveva commissionato il cardinale Scipione Cafferelli-Borghese, desideroso di abbellire la sua grandiosa villa al Pincio con le più straordinarie opere d’arte dell’epoca. Nel 1622 Gian Lorenzo aveva poco più di vent’anni ma era già una star. Arguto, affascinante, molto ben introdotto (iniziò la carriera coadiuvando il padre Pietro, scultore tardo-manierista toscano) ed estremamente disciplinato (rispettava sempre gli impegni presi e ..non beveva alcool!) il giovane Bernini veniva pubblicamente omaggiato dai potenti del suo tempo. Il Papa Gregorio XV lo aveva nominato Cavaliere; il Papa successivo, Urbano VIII, divenne il suo miglior amico, preferendo la sua compagnia a quella di molti cardinali e attardandosi ogni sera a conversare con lui. Nella Roma di inizio Seicento Bernini era considerato l’artista per eccellenza: non solo scultore ma anche pittore, urbanista, architetto, drammaturgo.
«il Cavalier Bernini, quel famosissimo scultore che ha fatto la statua del Papa e la Dafne […] ch’è il Michelangelo del nostro secolo [… e che] è un uomo da far impazzire le genti»
(Fulvio Testi, Lettera al conte Francesco Fontana)
Il suo genio alla corte del cardinale Scipione Borghese produsse capolavori della scultura tutt’oggi inarrivabili.
«Nessuno come lui e prima di lui è riuscito a rendere il marmo così carnale. La materia nelle sue mani vive, si muove, si agita, suda! Le sue figure piangono e urlano, i loro busti si contorcono e si dimenano in uno spasmo di sensazioni intense. Come un alchimista riesce a trasformare il marmo in rami d’albero, foglie, capelli e.. carne!» sottolinea il noto critico d’arte Simon Schama. «Persino il David di Michelangelo, a confronto, appare statico. Le figure del Bernini sembrano librarsi in un vorticoso turbine danzante, sembrano staccarsi dai loro plinti per volare libere nello spazio. Così Apollo e Dafne, scolpiti nell’atto di un inseguimento amoroso. Lui vuole la ninfa ma lei rifiuta con decisione. E proprio mentre sta per raggiungerla, il dio-fiume Peneo risponde alle preghiere della figlia trasformandola in un albero di alloro. Apollo, giunto al termine di una corsa senza fiato, ha ancora i capelli che svolazzano al vento. La ninfa Dafne sembra sollevarsi in aria mentre la magia ha luogo: i piedi ancorati a terra tramite radici, la bocca spalancata in un urlo, gli arti trasformati in rami frondosi. E la pelle di seta, nell’attimo in cui scompare nel protettivo involucro di corteccia scabra».
Apollo e Dafne (1622-1625; marmo, 243 cm esclusa la base di 115 cm) è oggi conservato presso la Galleria Borghese di Roma
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