Colorati e succosi come la vita
Undici giorni prima di morire, Frida Kahlo (Coyoacán, 6 luglio 1907–Coyoacán, 13 luglio 1954) dipinse il suo ultimo quadro Viva la vida, una natura morta che rappresenta angurie succose, rosse, appetitose, come sempre considerò la vita la pittrice messicana, nonostante trentadue operazioni, aborti, dolori lancinanti e un continuo viavai tra letto e ospedali. Tutto iniziò con un incidente: il 17 settembre 1925 l’autobus su cui viaggiava Frida venne travolto da un tram e la ragazza trapassata da una sbarra di ferro, la spina dorsale fratturata in 3 punti, il bacino schiacciato, il piede destro spezzato, le pelvi rotte. Costretta nel letto, il padre fotografo le regalò dei colori e da quì Frida cominciò a elaborare la sua arte: un misto di forza, coraggio, amore e dolore che ne ha fatto un’icona del secolo scorso.
Viva la vida è il suo ultimo saluto, un grido di colore, il desiderio infinito di gioia di vivere. Consacra la figura di Frida Kahlo come una donna e una femminista ante-litteram cui si guarda con stima, rispetto e tanta curiosità. Coniugò simboli indigeni messicani e nazionali, ebbe un’appassionata storia d’amore con l’artista Diego Rivera (di vent’anni più grande), produsse autoritratti eccezionali e inimitabili, frequentò amanti etero e omo, ma senza curarsene troppo, impegnata a trasformare il dolore in desiderio e la tristezza in empatia.
Con la vita, la natura, l’umano e il cosmo.
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