Il piatto preferito del poeta Prévert? Spaghetti e cipolla
Lo confida Jacques Séguéla nel suo autobiografico Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario..Lei mi crede pianista in un bordello. Nel tentativo di coinvolgere l’autore e sceneggiatore francese in una iniziativa pubblicitaria, Séguéla si reca tutti i giorni nell’appartamento di Jacques Prévert (Neuilly-sur-Seine, 4 febbraio 1900 – Omonville-la-Petite, 11 aprile 1977) a Pigalle, proprio sopra la terrazza del Moulin-Rouge.
In fondo a un cortile, un edificio fatiscente, una scala ed eccomi arrivato. Prévert mi aprì di persona.
Non aveva né maggiordomo né domestica, solo due grossi gatti.
Galleggiava in una vestaglia da grande magazzino e calzava sempre le pantofole.
Le teneva anche per uscire.
Non riuscivo ad abituarmi all’idea che quest’uomo che aveva rivoluzionato il cinema e fatto esplodere la letteratura potesse condurre una vita pantofolaia.
Dopo il primo incontro, la reciproca conoscenza procede, tra battute mordaci e dialoghi sulla pubblicità. Prévert non aveva mai fatto pubblicità e penetrare in questo nuovo territorio della comunicazione lo affascinava: «Prima di dire di sì, vorrei conoscere la sposa. Bisognerà che mi raccontiate la pubblicità» incalzava. E così Séguéla cominciò a recarsi quotidianamente dal suo idolo.
Sentivo che Prévert aveva bisogno di una presenza per creare.
Al terzo giorno facevo parte della famiglia. Facevo la parte del maître d’hotel, Prévert detestava andare ad aprire la porta.
“Le cattive notizie suonano alla porta, quelle buone telefonano” borbottava.
Servivo anche da cuoco. “Restate a pranzo” voleva dire:
«Fatemi dei buoni spaghetti e soprattutto non dimenticate la cipolla».
Ma il mio vero compito era quello di bibliotecario.
Non riuscendo a restare senza far niente, avevo chiesto il permesso di mettere a posto i libri che ingombravano la tavola.
Ce n’erano di tutte le parti del mondo.
«Non ho più l’età per leggere, confessava Prévert,
la lettura è uno sport giovanile, come la boxe: non si possono praticare con gli occhiali!»
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